Il comportamento alimentare non riguarda esclusivamente gli aspetti nutrizionali, ma può configurarsi come una forma di comunicazione: durante l’infanzia, in particolare, può rappresentare uno strumento tramite il quale il bambino veicola messaggi legati alla sua relazione affettiva con l’ambiente che lo circonda. Al posto del pianto, della parola, il piccolo può utilizzare l’atto nutritivo come “teatro” in cui ad andare in scena sono le sue emozioni, il suo malessere, i suoi dubbi. Dietro un rapporto alterato con il cibo, cioè, può sovente essere nascosto un messaggio.
Proprio in ragione di questa connessione “cibo – affetto – messaggio”, è importante che gli adulti di riferimento del bambino prestino ascolto a quella che potrebbe essere l’espressione di un disagio interiore.
A tal proposito, un aspetto da tenere in considerazione è proprio il rischio di ridurre e semplificare l’atto alimentare al solo scambio di cibo: specialmente nelle situazioni di difficoltà, in realtà il piccolo utilizza questo canale per manifestare che qualcosa non va e allo stesso tempo per essere riconosciuto e amato come un soggetto e non soltanto come un corpo da riempire.
In questo senso il comportamento alimentare dei bambini, anche quando bizzarro, non è da intendersi come qualcosa da correggere, quanto piuttosto come qualcosa da interrogare e cercare di comprendere perché è espressione di una particolarità soggettiva ed è un tentativo dei piccoli di essere aiutati e capiti rispetto alle proprie fatiche.
Alcuni bambini fanno fatica ad accettare particolari cibi, di determinati colori o consistenze, oppure si rifiutano di assaggiare cibi nuovi, manifestando una certa rigidità nelle loro scelte alimentari. Il rifiuto e la selettività del piccolo possono evocare risposte insistenti e rigide nei genitori che, tuttavia, possono a loro volta esasperare forme di resistenza caparbia da parte del bambino o, ancora, apparenti regressioni. Di conseguenza i pasti si configurano come un vero e proprio “braccio di ferro” tra i genitori e il bambino, situazione che, oltre ad essere controproducente, impedisce di cogliere il cuore dell’utilizzo disordinato del cibo, ovvero la situazione di malessere e di sofferenza che sottostà a tale comportamento.
Bisogna inoltre considerare che i disagi alimentari, come la selettività o le bizzarrie, possono riguardare quadri transitori di malessere e configurarsi dunque come dei campanelli d’allarme, senza coinvolgere altri ambiti di vita, quali il sonno o il gioco. Sebbene questi comportamenti possano spaventare, dunque, non riguardano necessariamente situazioni patologiche: si tratta di manifestazioni che non sono severe e pervasive quanto i quadri dei disturbi alimentari conclamati (ad esempio, l’anoressia e l’obesità) e che implicano una dialettica, un movimento di richiesta di aiuto all’altro.
Ecco perché è sempre utile che il papà e la mamma possano interrogare le modalità con le quali il figlio cerca di attirare la loro attenzione, senza liquidarle esclusivamente come dei “capricci” e cercando di rassicurare il bambino. Certo, è giusto anche fornirgli dei limiti. Attraverso il “no” ad alcuni alimenti, il bambino interroga i genitori in merito al posto che lui occupa nei loro pensieri, nel loro desiderio, e talvolta questo potrebbe proprio rappresentare la richiesta di un limite da parte della mamma e del papà: i genitori infatti sono chiamati a saper coniugare l’affetto e la disciplina, l’amore e le regole.
È proprio la disponibilità del genitore ad interpretare e tradurre i comportamenti del figlio che consente di contenere e dare un senso alle sue espressioni emotive, mettendole in parola senza banalizzarle e senza lasciare il bambino nella solitudine del suo disordine.
Per gli adulti, la problematicità e al contempo la grande risorsa di questi comportamenti consistono nel riuscire ad implicarsi, facendo rientrare la difficoltà all’interno non solo della storia del piccolo ma anche all’interno della relazione e del contesto familiare, riuscendo a distinguere tra il piano dei bisogni (la fame) e il piano della domanda che rimanda al desiderio di una presenza (domanda d’amore). Per riuscire in questo delicato compito, il genitore deve essere capace di contestualizzare la protesta alimentare del bambino e di interpretarla, anche in riferimento a sé e al suo modo di relazionarsi con il proprio figlio. Tale operazione sicuramente non è semplice per le mamme e i papà, che sono provvisti però di grandi risorse: d’altronde, genitori si diventa.
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