L’oggetto transizionale, un concetto introdotto dal pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott, potrebbe essere definito come un ponte tra la necessità di vicinanza alle figure di riferimento, in particolare alla mamma, e la curiosità di esplorare il mondo, condita da timori verso ciò che non si conosce. Ed è qui che entra in gioco questo particolare oggetto, uno strumento che permette al bambino di avventurarsi nella crescita e in nuovi contesti con una sicurezza sempre maggiore, e ciò grazie alla sua funzione simbolica, ossia di assunzione di un significato particolare in virtù di ciò che rappresenta per il piccolo. L’oggetto transizionale può essere di varia natura, tipicamente qualcosa di morbido come un pupazzo o una coperta, ma anche una bambola o un gioco; l’aspetto fondamentale è che il bambino sia libero di sceglierlo perché, qualora sia presente, lo accompagnerà poi in una buona parte della sua infanzia.
Inoltre, l’oggetto transizionale, proprio grazie al suo valore simbolico, consente al piccolo di iniziare a mano a mano a realizzare che risulta possibile una sua autonomia dalle figure genitoriali e, di conseguenza, a identificarsi come soggetto separato da loro, in particolare dalla madre con cui instaura una fisiologica relazione fusionale sin dalla gravidanza e nei primi mesi di vita. E tale distacco dalla mamma e, più in generale, dai genitori risulta una transizione, un passaggio di crescita fondamentale che, tuttavia, potrebbe essere vissuto come momento di frustrazione. Si pensi ad esempio alla separazione sancita dall’addormentamento nel lettino o, ancora, dal primo ingresso all’asilo; nell’affrontare questi e altri ostacoli o difficoltà, il bambino si sentirà più sicuro grazie alla presenza del proprio oggetto transizionale.
Risulta importante evidenziare la possibilità che nel tempo questo compagno di viaggio cambi, in maniera più o meno graduale. A fronte di tale mutamento, che risulta naturale, ciò che invece non subirà una variazione è la funzione dell’oggetto, il suo rituale di utilizzo da parte del bambino. Il figlio o la figlia lo sfrutteranno infatti non solo per aiutarsi nell’esplorazione o nei momenti di frustrazione, ma anche per proiettarci il loro mondo interiore, in particolare le emozioni molto intense che faticano ancora a controllare; ecco dunque che l’oggetto transizionale assumerà anche il ruolo di “palestra emotiva”, vero e proprio luogo di esercizio di strategie sia di espressione sia di regolazione.
Un tema su cui spesso si interrogano i genitori è la durata che l’utilizzo di questo oggetto dovrebbe avere, ossia quando risulterebbe più opportuno che il bambino se ne separi. Come per la maggior parte dei quesiti sulla crescita, non esiste una risposta univoca: sicuramente è un’operazione da poter promuovere gradualmente, per far sì che il piccolo si abitui a una nuova modalità di interazione con gli altri e con l’ambiente esterno; inoltre, è bene tenere presente che con frequenza sarà proprio il bambino che, autonomamente, tenderà ad abbandonare un uso attivo e costante dell’oggetto transizionale, passando via via a un utilizzo più rarefatto nel tempo, poiché quest’ultimo avrà soddisfatto i suoi diversi bisogni e sarà dunque servito al suo scopo; in alcuni casi, infine, quest’abbandono potrebbe essere un po’ più difficile e combattuto, e può quindi essere utile affiancare il figlio o la figlia nel percorso che porterà a una separazione dall’oggetto.
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