Qualunque genitore desidera una vita libera da difficoltà per il figlio ma, inevitabilmente, queste si presentano sin dall’infanzia (pensiamo ad un rimprovero della maestra o ad un piccolo litigio con un amichetto). Forse spinti da questo desiderio alcuni genitori fanno qualsiasi cosa per rendere tutto più facile ai figli.
Cosa li porta a fare questo?
A volte sembra come se il genitore stesso avesse difficoltà a tollerare il fallimento e la possibilità di sbagliare. Ed in questo modo è proprio il messaggio che le difficoltà non si possono gestire che arriva al bambino. Questi genitori, qualche tempo fa, sono stati definiti “spazzaneve”. Questo termine evoca chiaramente l’iperprotettività di un certo tipo di genitore che farebbe di tutto pur di liberare la strada del figlio da qualunque tipo di ostacolo. Stranamente questo termine ha origine oltremanica dove, per tradizione, siamo abituati ad immaginare genitori che lasciano abbastanza autonomia ai figli.
In realtà è proprio nei momenti difficili che il bambino si può sperimentare competente e capace di agire nel mondo per raggiungere i suoi obiettivi. Per raggiungerli inevitabilmente si può passare attraverso la frustrazione di tentativi sbagliati ma questo non è altro che il modo più adatto per cominciare a costruire quegli schemi mentali che poi verranno utilizzati in situazioni future. Non è facile stabilire un confine netto tra essere d’aiuto per un figlio ed essere un genitore “spazzaneve”. Sostenere un figlio (a prescindere dall’età anagrafica) è un compito di ogni genitore ma dove possiamo tracciare un limite?
Il genitore è un punto di riferimento per il bambino e la sua disponibilità è fuori discussione ma quando il genitore interviene preventivamente con l’obiettivo di evitare un errore o di eliminare un potenziale ostacolo non sempre si sta facendo una cosa positiva (ovviamente quando si stratta di ostacoli che riteniamo gestibili dal bambino in riferimento alla sua età). È come se inconsapevolmente si dicesse al bambino “tu non sei in grado, ci penso io”. La frustrazione, la rabbia, la tristezza sono emozioni decisamente importanti per lo sviluppo. L’obiettivo del genitore non è quello di evitare questi vissuti al figlio ma quello di aiutarlo ad affrontarli nel momento in cui si presentano.
Il bambino nel momento in cui sperimenta le difficoltà avrà modo di superarle e di trovare le strategie più adatte per farlo. Se un bambino non passa attraverso la frustrazione non saprà mai cosa significa provare realmente un desiderio per qualcosa, non potrà riflettere sui suoi reali desideri e volontà, non si sperimenterà manchevole e, di conseguenza, non avrà stimoli per perseguire i suoi obiettivi con determinazione.
Il rischio è che l’errore venga condannato e che la rabbia o la tristezza non siano considerate come emozioni umane ma esclusivamente come qualcosa da aggirare o allontanare. Il fallimento è parte dell’esistenza ed è importante che il genitore trasmetta al figlio l’idea che può essere tollerato ed affrontato e che, anzi, è il motore per andare avanti. Se poi non si riesce a superare l’ostacolo, non è un problema. La prossima volta andrà meglio.
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