Ogni nascita è un’esperienza unica, caratterizzata da grande trepidazione: «Non vedo l’ora che arrivi!» esclamano i genitori, entusiasti di conoscere finalmente il bambino dopo nove mesi di attesa. Ad aspettative gioiose, però, si intervallano anche dubbi, domande e preoccupazioni: «Cosa succederà durante il travaglio? E se il mio corpo non dovesse tornare più come prima?». La nascita, infatti, è un evento che muta profondamente i ritmi e gli equilibri, anche di coppia. È proprio in questo momento delicato che entra in gioco la figura dell’ostetrica, la cui funzione privilegiata è sostenere la neomamma e la sua famiglia in costruzione.
Un tempo definita levatrice, oggi l’ostetrica è al centro della maternità. Infatti, a questa «grande e competente madre» è richiesto di accudire la donna con la competenza e la premura necessarie in una circostanza intima quale la nascita. Come sottolinea la Dott.ssa Pamela Pace nel testo "Un amore in più. La gravidanza e il tempo dell’attesa" (Edizioni San Paolo, 2018), perché la donna possa affidarsi all’ostetrica è fondamentale che la professionista non si chiuda in un sapere medico tecnico, poco comprensibile ed impersonale, ma che sappia invece sensibilizzarsi sulle particolarità di quel soggetto, cogliendone le trasformazioni psicologiche e dando luogo ad uno scambio che permetta di sentirsi riconosciuti nella dimensione più profonda ed emotiva di sé. A questo proposito, è importante che l’ostetrica sappia mettere le donne a proprio agio: ognuna di loro possiede tempi individuali e una propria emotività.
Come ben evidenzia la Dott.ssa Pace in proposito: «È lecito avere domande e dubbi; è normale piangere, avere paura o perdere le forze. Una donna non dovrebbe mai sentirsi sola, imbarazzata o impotente di fronte a manovre imposte talvolta piuttosto invasive. Sebbene la pratica medica sia fatta di tecnicismo è indispensabile che si accompagni a una qualità della relazione tale da non disumanizzare l’incontro». Infatti la labilità emotiva della gravidanza dovrebbe essere tra le responsabilità dell’équipe medica, perché le esigenze psicologiche delle gestanti non vengano vissute come manchevolezze o fragilità. Può accadere che alcune donne, specie se non sufficientemente supportate, sviluppino paure e preoccupazioni: dall’ansia di provocare danni al bambino al timore di non avere più il controllo del proprio corpo, fino a quadri clinici più gravi come la tocofobia, cioè la paura patologica del parto. Ecco, allora, che un sostegno psicologico professionale laddove necessario e l’assistenza offerta dall’ostetrica svolgono una funzione contenitiva fondamentale, confortando e rasserenando le partorienti.
Soprattutto al tempo del Coronavirus, anche i normali timori e le difficoltà che riguardano la gravidanza possono intensificarsi. Sebbene il virus non sembri trasmettersi al feto, provocare particolari complicazioni o controindicazioni all’allattamento, l’acuita preoccupazione per la propria salute e il senso di solitudine che le restrizioni comportano possono causare molta ansia e rendere i momenti della gravidanza e del parto estremamente stressanti se non, addirittura, traumatici. Pertanto, le gestanti non dovrebbero essere lasciate sole di fronte alle proprie preoccupazioni, ma adeguatamente supportate: a livello affettivo dai propri compagni e dal punto di vista professionale dalla figura e dall’équipe dell’ostetrica, attraverso una relazione di fiducia atta a favorire un’assunzione di responsabilità.
Dunque, come precisa la Dott.ssa Pace: la presenza dell’ostetrica funziona da specchio in cui la puerpera può vedere riflesso il proprio potenziale di neomamma come più o meno adeguato. Spesso è proprio quando un soggetto si sente sostenuto e valorizzato che riesce ad adoperare al meglio le proprie risorse.
In conclusione, non è soltanto il neonato a dover essere accudito ma anche la sua mamma: l’ostetrica è una figura preziosa per aiutare la donna ad avere maggior fiducia in se stessa e per rassicurarla sul fatto che genitori si diventa solo con l’esperienza, nell’incontro quotidiano con il proprio bambino.
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