Quando Tommaso e Matilde erano neonati passavano una quantità di tempo in braccio a me. E ricordo ancora distintamente la sensazione del loro cuore che batteva veloce veloce appoggiato sopra il mio, che invece passeggiava lento nelle notti d'inverno o nelle sere estive. E la loro testina era sulla mia spalla, e potevo sentire il loro profumo.
Ed era una cosa così strana sentire quei cuori fuori di me, io che fino a poche settimane prima li avevo ospitata dentro di me, che mi ero abituata ai loro sogni agitati, alle giravolte, a quei cuori che correvano a perdifiato. E quando sono nati, me li appoggiavo sul petto, e dormivano così poco che il loro sonno me lo immaginavo simile ad un cristallo. Anzi simile al pelo dell'acqua quando inizia a gelare, che basta sfiorarla per frantumarla in un attimo.
E alla sera restavo mezz'ore intera, ferma immobile a pensare, inseguendo la corsa di quel cuoricino, studiando sul loro visetto i sogni di latte e luce. Sembra un attimo fa, e oggi già fanno tutto da soli, e per farli addormentare basta un bacio e una canzone della buonanotte. Eppure io, prima di andare a dormire, quando passo a dare l'ultima carezza della sera (che senza non posso stare) non resisto e appoggio leggermente la mano sul loro cuore. Che corre e corre, dietro ai sogni. Dietro al domani e dietro alla vita.
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