Ieri ho letto un illuminante articolo di Alessandro D’Avenia, sull’educazione dei figli e sulla deriva a cui certi comportamenti ci stanno portando.
Sono mamma da 9 anni, ho il blog da 4: un tempo breve ma al tempo stesso lungo, in cui mi sono trovata a confrontarmi spesso con altri genitori sull’educazione dei figli.
E proprio quando si parla di educazione, mi accorgo che iniziano i primi fraintendimenti: perché l’educazione non è solo il grazie-prego-perfavore, che sono comunque importanti. E-ducere in latino significa portare fuori: significa condurre i nostri figli oltre l’infanzia, attraverso un lungo percorso in cui saggeremo i nostri e i loro limiti.
La nostra crescita e quella dei figli inizia nell’istante in cui scopriamo che un bambino sta crescendo nel nostro corpo: perché è il momento in cui dobbiamo iniziare a scendere a patti. Ho più volte parlato, anche in maniera ironica, di quelle coppie di genitori che insistono a dire “Sì aspettiamo un bambino, ma non cambierà niente” Insomma, non smetteremo mai di fare la vita di prima. Ho sempre provato una sorta di tenerezza mista a rabbia, per chi riusciva a pensare che l’arrivo di un essere umano, completamente affidato a loro, non avrebbe in nessun modo influito sulle abitudini passate.
Ed era la stessa sensazione che mi capitava di provare davanti ai genitori che, orgogliosi di un figlio indomabile, ne vantavano per ogni dove l’autonomia. Solo che stavolta la tenerezza era per il bambino, e la rabbia per i genitori.
Ogni volta che ho detto di no, ogni volta che ho dato una punizione (mai fisica, perché io sono contro ogni punizione che implichi schiaffi e sculacciate), io e i miei figli abbiamo tirato su una colonna della casa che stiamo costruendo insieme. Ho cercato fin da quando erano piccoli di motivare le mie scelte: perché l’insondabile “si fa così perché lo dico io” mi è sempre sembrato triste e inutile. E quel luogo intangibile che è la loro interiorità in questi anni è nutrita di un’infinità di baci e abbracci, delle canzoni della buona notte, dei rinforzi positivi ogni volta che facevano qualcosa di buono e di no, ogni volta che era necessario porre un freno.
Quanto è faticoso dire di no? Tanto: tantissimo. Perché in quel momento ricordiamo ai nostri figli, che non siamo su una posizione di uguaglianza, e non lo saremo ancora per tanto tempo. Perché noi abbiamo l’esperienza e la responsabilità che un bambino di 4-6-8 anni, per quanto intelligente, non può avere. Non è vero che i bambini si autoregolano o si autolimitano. I bambino sono disperatamente affamati di avere accanto qualcuno che li aiuti a costruire la propria casa interiore, e che lo faccio anche dicendo di no.
Ogni volta che sento dire: gli altri fanno tutti così, hanno tutti questo, lui/lei si sentirà escluso, ripeto sempre la stessa cosa. Gli altri siamo noi. Siamo noi a porre le regole, e non i bambini, e siamo noi a dovere farle rispettare.
Non è affatto facile, a volte è doloroso, a volte è faticoso. Ma quando i nostri figli saranno cresciuti, se saremo fortunati (e serve anche taaaanta fortuna) guarderemo insieme e con orgoglio quello che avremo costruito, e che sarà la loro certezza per il futuro.
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