Quando ero piccola le mie stagioni erano scandite dal cambio di scarpe e si dividevano tra gli scarponcini ortopedici in inverno e gli zoccoli ortopedici in estate. Gli scarponcini che funestavano le mie stagioni fredde costavano come un rene e avevano quel design divertente e moderno di certi palazzoni russi realizzati durante il regime comunista.
Riuscivano ad essere immettibili con ogni outfit, e denunciavano da lontano lo stato dei miei piedi non perfetti. Mentre con passo aggraziato le mie compagnette d'asilo scivolavano sul pavimento accompagnate dalle loro scarpette alla bebè lucide e nere, io avanzavo con la grazia di un lottatore di sumo seminando sassi e terriccio accumulati sotto i carriarmati delle suole. Gli scarponcini ortopedici erano pessimi con i vestiti casual, ma diventavano offensivi quando li abbinavi ad un vestitino, ed addirittura da intervento dei servizi sociali quando te li mettevi con la tuta. Ah e ovviamente erano scomodissimi.
Certi giorni, quando per la fretta (eravamo tre figli, mica uno da preparare) la mia povera mamma diceva "fai da sola che sei grande" e io andavo a scuola con la sottoveste dentro i pantaloni, la canottiera con le maniche lunghe bloccata altezza gomito e con sopra maglia, maglioncino e grembiule, e i magici scarponcini ortopedici, mi prendeva uno spleen che Leopardi scanzate.
Quando finalmente arrivava l'estate, c'erano le vacanze ed io potevo dirmi liberata da sti cacchio de scarponcini, fino a che arrivava IL GIORNO DEGLI ZOCCOLI. IL GIORNO DEGLIO ZOCCOLI mio papà ci portava tutti in una farmacia a Macerata e ci comprava gli zoccoli del dottor schultz. Gli zoccoli, al cui confronto lo scarponcino aveva l'eleganza di una Manolo Blahnik, iniziavano a farti male prima ancora di metterteli, perchè il cervello riconosceva la stessa infausta immagine di tutti gli anni e si portava avanti con il lavoro preavvertendo i recettori del dolore. Quando te li facevano provare, facevamo una camminata sbilenca dentro la farmacia, con i piedi che già gridavano vendetta e la commessa soddisfatta che ripeteva convinta: eh ma devono fare male! Ovviamente al mare questo dava a me e ai miei fratelli un vantaggio sui nostri genitori: eravamo i Bolt della corsa a piedi nudi sui sassi.
Appena ho avuto l'uso del portafoglio (e appena ho avuto soldi miei da metterci) ho iniziato a comprare solo scarpe col tacco. Dai 18 ai 30 sono stati davvero pochi i minuti passati a raso terra: erano scarpe sempre iper femminili. Le prime scarpette comprate a Matilde, numero 18, erano un profluvio di rosso e brillantini. Alla bebè, ovviamente.
C'ho messo 40 anni a capire che dichiarazione d'amore c'era dietro quelle scarpe. Quegli scarponcini che costavano un botto moltiplicati per tre, quando mia mamma ricuciva con cura certosina i gomiti dei maglioni di papà, e lei l'ultimo vestivo nuovo l'aveva comprato anni addietro. E questo amore a volte è invisibile agli occhi dei bambini: ma una volta piantato, prima o poi, lo riconosciamo tutti.
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