Anch’io scrissi a suo tempo Je suis Charlie. Anch’io mi sono sentita chiamata in causa, per difendere la libertà di esprimere il proprio pensiero con una matita, senza dover abbassare la testa davanti alle armi Anch’io mi sono sentita turbata e impaurita davanti a quello che è successo a Colonia: perché abbiamo impiegato millenni a guadagnare un po’ di uguaglianza con gli uomini e non possiamo cedere di un millimetro davanti a chi la pensa in maniera differente.
Ora però Charlie Hebdò mi ha davvero rotto. Tutto, davvero tutto, deve cedere davanti al diritto di satira? Non esiste qualcosa di davvero importante, che è possibile lasciare intatto? La vignetta in cui si mostra che Aylan, il bimbo diventato il simbolo dei tanti morti di speranza nei nostri mari, sarebbe diventato un molestatore come i profughi di Colonia, mi ha fatto davvero pensare. E mi pesa dentro. Aylan è morto nel freddo di un mare sconosciuto, sfuggito alle mani del suo papà. Aveva già visto la guerra e la fame. Il suo faccino seppellito nella sabbia non lo potremo cancellare mai più. E allora, come ha fatto la Regina Rania di Giordania, che oltre ad essere una donna buona e sensibile è anche una mamma, e ha risposto a Charlie con un’immagine del disegnatore giordano Osama Hajjaj, vorrei dire anche io che forse Aylan avrebbe potuto essere un medico. O forse avrebbe potuto essere un politico illuminato, in grado di portare la pace nel suo paese distrutto. O un artista in grado di arrivare al cuore degli uomini. Forse quelli di Charlie Hebdò hanno perso ogni speranza, per credere davvero che le cose possano andare in maniera differente. Ma io mi fido più di Rania, che con il suo sguardo intelligente e sensibile da mamma, ha saputo vedere un futuro diverso per il piccolo Aylan. Anche se si è trattato solo di un breve sogno..
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